Recensione di “Tecniche di esposizione” – Testo e senso – Raul Mordenti

L’Associazione Italiana Walter Benjamin ha affrontato nel corso del suo secondo seminario (svoltosi presso l’Istituto Italiano di Studi Germanici dove l’Associazione ha sede) una delle opere capitali della nostra cultura. Pur nella sua brevità (una trentina di pagine) L’opera d’arte dell’epoca della sua riproducibilità tecnica ha saputo porre un nesso fecondissimo di problemi che – in modo tipicamente benjaminiano – intrecciano filosofia e sociologia, riflessione teologica e impegno politico, estetica e teoria dei mezzi di comunicazione di massa.

Gli interventi della prima parte discorrono dei problemi aperti dall’opera in questione (Fabrizio Desideri, Marina Montanelli, Clemens-Carl Härle, Mauro Ponzi, Andrea Pinotti, Francesco Valagussa, Franco Rella), quelli della seconda parte affrontano direttamente il campo politico, a partire dalla celebre riflessione sulla “politicizzazione dell’arte” che Benjamin contrappone alla “estetizzazione della politica” dei fascismi (Dario Gentili, Massimo Palma, Alessandra Campo, Massimiliano Tomba, Elena Tavani); e tutto questo sarebbe bastato a fare di questo volume un prezioso momento di riflessione su Benjamin. Ma ciò che rende il libro di Marina Montanelli e Massimo Palma indispensabile è la terza parte, in cui essi propongono una densa introduzione critico-filologica a L’opera d’arte… e soprattutto offrono per la prima volta la sua “Prima versione” (Erste Fassung), non pubblicata – se non per brani ed estratti – neanche nelle Gesammelte Schriften, a cura di Tiedemann e Schweppenhäuser (Frankfurt, Suhrkamp, 1995-2000, voll. I e VII).

Che alla diffusione, e alla superficiale citabilità, di Benjamin corrispondesse una situazione critico-filologica assai discutibile era apparso chiaro anche in passato, quando – fra l’altro – la cultura italiana sembrò assistere senza un adeguato dibattito all’abbandono dell’impresa di Agamben di dare vita a un’edizione di Tutte le opere che avrebbe preceduto anche quella tedesca, e l’avrebbe corretta. “Testo e Senso” se ne occupò nel 2002 con una nota di chi scrive (cfr. http://testoesenso.it/article/view/245/pdf_62).

Ma un esempio di quello che in positivo si poteva ricevere da un’attenzione filologica più intensa venne dall’edizione Bonola-Ranchetti delle tesi Sul concetto di storia (W. Benjamin, Sul concetto di storia, a cura di G. Bonola e M. Ranchetti, Torino, Einaudi, 1997). Quell’edizione memorabile offriva, oltre a una ricostruzione delle vicende compositive delle Tesi sul concetto di storia, il testo tedesco (con versione italiana a fronte), la versione francese dovuta allo stesso Benjamin, alcuni “Materiali preparatori”, in parte presenti anche nel Passagen-Werk e, infine, un’utile proposta di Lemmi benjaminiani e una ricostruzione del progressivo farsi del pensiero dell’Autore operata su altri suoi scritti e su documenti.

La prima versione dell’Opera d’arte dell’epoca della sua riproducibilità tecnica qui ripubblicata conferma la fecondità della proposta di Montanelli e Palma. A motivare la 3

nostra gratitudine per i due curatori basterebbe la tavola sinottica (a p. 237) che presenta le cinque diverse stesure di Benjamin e le mette in rapporto con le sei edizioni tedesche e con le quattordici edizioni italiane.

Il giudizio analitico di merito spetta evidentemente agli specialisti di Benjamin, ma sia consentito dire che nulla sarebbe più lontano dal vero che l’immagine di una fase primitiva del lavoro di Benjamin destinato a essere sempre più completato e perfezionato nelle versioni successive. A volte, anzi, è come se la scrittura più vicina al momento iniziale del concepimento intellettuale conservasse una forza di argomentazione maggiore, a volte evidentemente è vero il contrario; ma in ogni caso si ripropone la necessità, per lavori come questi, di edizioni che tengano conto del lavoro elaborativo del pensiero nel suo farsi, del “ritmo del pensiero in isviluppo” (come direbbe il nostro Gramsci) e non riposi convenzionalmente sull’idea, del tutto convenzionale e solo debitrice della tecnologia della stampa, di uno stato finale e ne varietur. È probabile che Benjamin vada pubblicato così, perché si tratta di un Autore che non ha potuto seguire in vita l’edizione delle sue opere e il cui inesausto sforzo rielaborativo rende assai difficile stabilire la conclusione dell’opera, ammesso che una tale conclusione ne varietur sia esistita o, addirittura, che fosse prevista.

Né sarebbe da sorprendersi che un pensatore tanto grande e originale richiedesse forme ecdotiche a loro volta del tutto originali e impreviste.